La donna prima di essere persona è un corpo di donna senza persona.

Talvolta penso di dover prendere distanza da ciò che sento – il sentimento.
Aspetta, adesso, ancora un momento: non siamo altro che esseri di senso.

Unique

– Siamo tutti maghi sotto sotto.
– Ma come, ora non mi sento più specialo..
– Sei specialo perché nessuno è come te.

-Ormai ti associo alle foglie schiacciate sui sentieri battuti da pochi passi, nei pressi di un ruscello limpido e svelto. Odore di muschio e quartetto di cicale in Re Maggiore.

Mi chiedevo, scrivo. Mi chiedevo, scrivo. Come può esistere relazione senza contatto? Tutto ciò per cui avevo sempre vissuto -l’altro – tutto ciò che da sempre mi dava l’energia per andare avanti era d’un tratto sgretolato sotto i miei piedi umidi e tesi, angosciati nel camminare verso un futuro chiuso, di repressione e di meccanicismo.
Intorno a me i miei quadri, unico bagliore di identità in una stanza. Osservo la mia camera da letto e vedo emozioni eppure una stanza vuota. L’unica persona di fronte a me è un essere amorfo e malato, accanto a uno specchio rotto guarda a terra con le mani incrociate. Un quadro che piange e che al tempo stesso ha dentro di se la vita, soffre perché le larve stanno percorrendo le sue membra, bucandogli i polmoni, e le ginocchia a terra dove lo sguardo volge, la lacrima genera un feto ancora non in grado di uscire. Un quadro la cui solitudine viene chiamata ‘SYN’, ‘con’, radice di sintomo e simbolo. Non so se è più maternità putrefatta o la sessualità cupa ma ciò che piange d’un tratto si fa chiaro: è la terra. La mia reclusione è una gravidanza, sono in trepida attesa di sapere se mio figlio è malato e se muore. Piango. Le mie lacrime ti aiuteranno, saranno con te la tua linfa per crescere. “Cammina ragazzo cammina, non ti fermare.”

Mi disse -Dai, su, contami una storia.
Ed io non seppi che rispondere.
– Conosco solo storie tristi. – dico.
Ed egli a me: son storie anche quelle.

Gridava a gran voce “la vita è ora!” e come facevo a risponderle che non ho mai imparato non ho mai imparato e che spesso sono dissociata come facevo a dirle che ammiravo la sua spinta indipendente eppure io tutte le spinte indipendenti che avevo avuto in vita mia erano state represse represse in quanto sbagliate come facevo a dirle che
per anni mi è stato detto che – per anni e per me ovunque-
ovunque non so dir di situazioni dove non c’è stata umiliazione e
io sto lottando sto combattendo ma l’unica indipendenza che ho avuto è stata la fuga ovunque ovunque! e che per me Sisì è così difficile mostrarmi perché se mi poi mostro succede spesso che mi si grida addosso e allora cosa, cosa affronto? affronto ciò che non capisco ma io sì che lo capisco mi sembra solo di parlare un linguaggio che conosco solo io e pochi altri eppure ho l’umiltà di dire che sto sbagliando ma se sbaglio voglio capire voglio capire voglio capire dove e per me non è scontato mi hai detto la vita è adesso e ti rispondo che sì la teoria la so e ti rispondo che è tutto il mondo che cerco di studiare come si impara la vita vera mi sembra solo che quando faccio di testa mia sembra che commetto sempre errori come faccio a dirti che io mi annoio sempre e che ho bisogno di stimoli continui e sempre diversi perché non voglio essere una sola cosa tranne me stessa e tutto ciò che sono è essere multiforme. ti potrei dire che ogni giorno penso di essere nata per qualcosa di diverso e Kiki se cado dall’albero e sono svampita si vede che qualcosa non era chiaro tu non hai alcun diritto di insultarmi.
Il non detto  il primo passo per far scattare una bomba atomica che porta conseguenze di lacerazione e sofferenza, qui c’è bisogno di chiarezza e di trasparenza. 

Il mio pensiero si discosta dal reale: sono dissociata: una parte di me muore suicidata.

Non so più dove sono.

Tu parli, io scrivo. 1F

Tutto dentro me mi portava ad esser nella condizione dell’oppresso.
Tutto ciò che desideravo

Era

L’ esposizione violenta
Non condannabile e non condannata
Tutta la rabbia che avevo
Dentro Implodeva

E l’unica cosa che avevo la possibilità di fare era chiudere, rinchiudere, cancellare, barricare, annientarsi

Morire.
(Penso di essere morto troppe volte per poter morire ancora)

Mi sento ostaggio della sicurezza perché sicurezza significa chiusura, e là dove la vedo io trovo soffocamento e usura. Se sono chiusa significa che ho paura e se non me ne accorgo, allora che qualcuno abbia la premura di mostrarmi quei limiti e segreti di cui prendermi cura così che possa infine esiliarli in crimini desueti

Alle volte le cose sono diverse
da come sembrano.
D’un tratto appaiono sotto una luce nuova
Inaspettata
non sempre luminosa
Spesso tetra e sconfortante.
Alle volte fare un passo verso il lume
Sembra la missione più difficile.
Sentirsi annebbiati in questa terra
Che offre e toglie opportunità.
Io ho le mie. Eppure vado investe di…
Né retorica né poetica mi appartengono
Intorno a me vedo potenziale e persone stanche.
Non posso esserci per tutti, perché poi perdo me.
Dinamiche familiari dalle quali debbo uscire
E mi tirano dentro contro la mia volontà
E mi biasimano se non ci sto e mi tirano giù
Ancora
In questa notte amara solo inchiostro e ferro
Sono uomini amici
Solo corde piegate vibranti
Il silenzio latente
E nient’altro.

sweet lullaby – canti d’infanzia

La canzone di mia nonna morta la scrivo qui per non dimenticarla mai

 

Dove sei vecchia capanna?
Non ti rivedrò mai più
Quando il bimbo andava a nanna
eri bella solo tu

Sotto l’ombra dei palmeti
tra la musica del mar
ogni sera i miei segreti
ti venivo a confidar

una striscia di mare cobalto che luccica a sera
le onde che vanno all’assalto sulla nera scogliera
brillano a mille le stelle del ciel.

O-skēnḕ: “La chute”

Pensavo che avrei amato più a lungo. D’un tratto quella sensazione di volo perpetuo mi porta a terra, e più giù. Come se non avessi mai provato l’emozione della breccia che scorre tra le piume e il sentirsi leggeri.
Se non conosce, ignoro, e questo non mi tange. Forse era l’idea magica della possibilità, probabilmente solitaria ma ugualmente vivida e reale.
Un pugno di mosche o farfalle, ma nello stomaco. La mia giornata prende una piega solitaria e anche un po’ angosciosa. Appena apri bocca la magia svanisce: preferisco allora che si rimanga in silenzio e nell’ombra e che le cose esistano solo dentro la mia mente, maledetta realtà. E se tutto ciò che può essere pensato esiste allora… allora… allora un cazzo. Maledetta realtà.

Due giorni dopo:
Ripensandoci, la mia sensazione non è stata banale, e non è stata neanche dettata dalla paura, dall’insicurezza o dalla chiara ingenuità, come inizialmente avevo pensato. Portare una persona alla sua oggettificazione, ridurla mericamente a un numero quasi fosse l’ego a nutrirsene, rende chi esprime questo concetto di una bassezza disarmante.
Niente su cui librarsi.
Nessuna poesia su cui navigare.
Più visibile del visibile.
Più reale del reale.
“Senza maschera, senza belletto e senza volto, è abbandonato all’azione pura del sesso, o della morte.”
Per questo, io sono caduta.

COME HO IMPARATO A FAR FRONTE AL DOLORE: 5 regole per non impazzire

  1. Se pensi di voler scappare, sappi che non puoi farlo. L’unica cosa che puoi fare è andarci addosso, farti invadere e metabolizzarlo, trasformandolo.
  2. No, gli altri non ti aiuteranno. Anche se vogliono, non possono farlo. L’abbraccio più sincero può apparirti gelido se non sei pronto a recepirlo.
  3. Droga, alcool, cibo e zuccheri sono tutti la stessa cosa. Se ci vai incontro, non ti aiuteranno. Starai solo peggio.
  4. Dentro di te lo sai cosa ti fa stare male. E soprattutto, non si sta male A CASO, c’è sempre qualcosa che genera in noi un sentimento di sofferenza: capisci qual è e analizzalo.
  5. Non abbandonare te stesso. Quando soffri è facile che la tua mente cerchi di andare altrove. Accogliti, abbracciati, come se la parte di te cresciuta si prendesse cura della parte di te bambino. Parlaci. Rassicurala. Ti aiuterà.

Non sarà facile, ma ce la farai. Prendi coraggio e buttati. Prendi coraggio e ascoltati.

35 giugno

Arrivata nell’arena con un kilo di gelato in mano, tutta allegra aspettandomi di trovar sorrisi e caldi abbracci e proposte per il futuro, mi resi conto ad un tratto che la porta d’ingresso era sbarrata e che comunque, nel silenzio si percepiva il passaggio del vento ondoso tra le fronde degli alberi, e proprio su uno di quei alberi andai a poggiare il mio sedere stanco, in contemplazione di quel luogo che tanto mi aveva dato e preso, e che d’un tratto non c’era più. Ecco che ad occhi chiusi ascoltavo il sapore del vento. Ecco che anche se sola sentivo le presenze intorno a me. Mi tornò allora in mente di quando il Pec disse del luogo che uno doveva raggiungere, un posto in cui uno non passa per caso, ma prende la decisione e compie l’azione di andare. Lì ho iniziato a vedere, contenute tra le mura e le case decadenti che circondavano il passo tutte le anime che vi erano passate almeno una volta. In quel luogo deserto vedevo un posto vivo. Da un lato, non nego che mi sentissi delusa. Dall’altro ancora mi sorprendo di come in quest’aria ci fosse un’energia unica, propensa a liberare emozioni come fiumi in piena. Sprofondai allora in un senso di sospensione a mezz’aria, dove non sapevo più se quel luogo e quel posto esistessero veramente nel modo in cui li percepivo: carichi, intensi, ricchi, o se fossero solo il frutto della mia immaginazione.

Il percorso dell’arte è infinito: si trasforma, si evolve.
Non muore mai.

Quando dico che ho iniziato a vivere da poco, lo intendo veramente. Ho passato sedata la mia vita dai 18 anni in su, o forse anche da poco prima. Tutt’ora cerco talvolta la sensazione dell’esser dentro una bolla, l’esser rilassati e non sentire niente, e dormire. A volte resisto dicendo ‘ma perché?’, alle volte ci casco. Forse devo rendermi conto della sensazione che ho dentro, di quel vuoto cosmico che sento e che sto cercando di colmare con l’arte e l’amore per se stessi… ecco infatti che scrivo due righe, un pensiero. Posso condividere ciò che sento e trasformarlo in qualcos’altro, una manifestazione umana senza pretese né giudizio. Eccomi, con le mie debolezze, eccomi, con la mia umanità.

Declaration of war to peace

To all my weaknesses
I’m saying:
I’ll look for you,
I am gonna find you,
and eventually

I’m gonna face you.

and
I’ll overcome you.

And I am not afraid no more!

So come

and embrace me.

Oggi ho visto mia nonna dopo una vita. Ho cantato con lei e ho pianto. Aveva freddo, e il volto tumefatto per aver sbattuto o per aver subito violenze. In quella casa volano coltelli come se fossero zanzare, e tutto è grottesco e quasi spaventoso. Suo figlio è morto e lei non lo sapeva, chiedeva solo di morire -di andare via, diceva lei-, forse lo sapeva. Forse vedeva qualcosa quando si incantava con lo sguardo, fissava i miei pantaloni e mi diceva: ‘guarda, lo vedi? sei calda’.
Le chiesi come stava e mi rispose ‘non mi sento’, ma qualcosa doveva pur sentire, perché diceva di avere freddo.
Intorno a lei le persone ne parlavano come una donna cattiva, che si agita, ma era solo una bambina.
Piangeva e qualcuno le mise del cioccolato in bocca. Tutti intorno a lei sembrava che tappassero le sue emozioni e il suo sentire, un sentire alto e saggio tuttavia privato della propria sicurezza dopo anni di desolazione e violenze.
Incredibile come l’identità umana possa piegarsi e contorcersi in seguito ad anni di abusi e soprusi.

Kiddos have two sides:
You can see their sparkling purity
And blame them for their scattered whims

Dove inizia la fine del mare?

Com’è che sono disinteressata ad ogni cosa in questo momento della mia vita? Apparentemente m’interessa tutto, ma quando vado un po’ più in profondità sento subito la pesantezza. Perché sento questo bisogno di rimanere in superficie? Sono in una bolla che non scoppia. Apparentemente, non mi frega di niente. Eppure…

Diceva Hugo Pratt su Saint-Exupery: – Saint-Ex, non andare nella direzione dei ricordi… è come visitare un cimitero.
– Oh! A me piacciono i cimiteri… – rispose lui – i loro cipressi, la quiete profumata di timo, le lucertole sul muro di cinta sotto il sole d’estate…
– Stai parlando della morte…
– E allora?!? Io ho scoperto cos’è la morte. La morte è…

Stream of Consciousness

Guardavo i tetti delle case pur non sapendo dove mi avrebbero portato. Fuori il tempo pioveva, ma in fondo all’arco, giù per la collina spuntava luminoso un sole lontano. Nostalgia di colori concentrici. Non sapevo dove quei tetti mi avrebbero portato ma intrapresi comunque il sentiero, giù per la collina. In attesa di qualcosa di migliore, non avevo niente da perdere e mi sentivo libera come un uccello dalle ali spiegate al vento, una vela che lascia il solco tra le nuvole del mare. Mentre camminavo, camminavo lenta, il dinamismo statico venne e perforò il mio petto d’improvviso neanche fosse uno stiletto argenteo. Perché non m’ero accorta che arrivava? Perché non ero stata in grado di schivarlo con agilità maestra? Rotolavo allora su per l’arco e la collina ancora, guardando i tetti delle case e non sapevo dove m’avrebbero portato, e non sapevo allora neanche se intraprendere il sentiero.

– Certo, è chiaro che ti penso. – disse d’un tratto – Il tuo ricordo mi arriva e tocca nostalgico, e alle volte ritrovo anche delle foto. Quelle foto bellissime, calde. Avevi un dono, qualcosa di profondamente dolce e vivo. –

Con il trucco sfatto camminava, lenta, sulla strada. Ogni passo era un sospiro verso casa. Un fischio lontano nell’ombra le faceva percepire di non esser sola, un uomo malato con un cane appresso. La notte ancora non dormiva in quella sera amara. E amara fu, chissà perché, per un senso di solitudine e separazioni. Le colava il trucco sfatto sulle guance per la strada, ed udiva ancora un fischio lontano.

 

Is it better to write nothing after  sex..?

Ecco il vuoto. Esco con un uomo ed ecco il vuoto. Appena arrivo a casa ecco il vuoto. Come se non potessi bastare a me stessa per ciò che sono, il vuoto mi accompagna ed ecco che, l’unica cosa che mi è dato fare, è scrivere. Cerco di riempire gli spazi contro il vuoto che ho dentro. Questo vuoto profondo ed incolmabile, per cui per quanto possa vedermi con una persona, parlarci, riderci, scherzarci, ecco che non basto a me stessa. Ecco il vuoto. Una visione incolmabile di bisogni e speranze. Bisogni e disperazioni. Non basto a me stessa, ecco il punto. Ecco che vedo, limpido, ciò di cui ho bisogno. Eppure è così, così difficile accettarlo, talmente difficile che neanche so se, alla fine, ad un certo punto della mia esistenza, potrò finalmente combattere e sconfiggere questo vuoto che ho dentro. Un vuoto. Vacuamente vuoto. Risucchiante vuoto. Inafferabile, ingestibile vuoto. Che ho dentro me.

Da sempre utilizzavo la mia sensualità per sedurre l’essere maschile. Quando decisi di rinunciarvi non sapevo più che cosa mostrare. Più mi mettevo a nudo nella mia totale essenza, meno confidavo che qualcuno là fuori potesse notare qualcosa di speciale, in me. In fondo tutto ciò che più mi interessava saltava agli occhi altrui come qualcosa di profondamente noioso. E quando qualche amico mi faceva un complimento, sempre ho pensato che mi prendesse in giro, quasi lo facesse per compassione o tenerezza. Avevo rinunciato alla mia maschera superficiale, e nulla in me suscitava più mistero. Dunque caddi in un profondo quanto secolare dilemma: essere, o non essere?  Talmente era profondo l’imbarazzo con un uomo che abbassavo lo sguardo ogni volta che qualcuno mi guardava: “sta forse ridendo di me – pensavo – oppure è uno sfigato”.  Alle volte riflettevo se in passato mi fossi eccitata pensando di piacere a un uomo, godere nel guardarmi attraverso i suoi occhi. Ho tentato di vivere una relazione in maniera più sana, eppure adesso tutto appariva vuoto. Di fatto temevo ciò che in passato amavo di più: che un uomo potesse apprezzarmi solo per il mio aspetto fisico. E -riflettevo- forse il mio volermi mettere a nudo appariva così crudo ai miei occhi perché in fondo, nei meandri delle mie membra, non potevo pensare, non potevo accettare che così non fosse.  Soltanto un uomo nella mia esperienza mi disse che preferiva la mia essenza cruda, e disse che quell’essenza era bella perché vera. Quell’uomo ho pensato d’amare a lungo, fin quando non capii che lo starci insieme mi appassiva. Anche lui mi amava -diceva- ma solo se interpretavo un ruolo: non più la femme fatale, matta ed eccentrica tanto da perderci la testa; ma la bambolina che piace e tace, schiava ancora delle sue virtù.

Barrique

Duramente cercavo, cercavo, cercavo qualcosa dentro me che mi spingesse ad andare oltre. Qualcosa che mi motivasse ad essere qualcosa di diverso.
Gli anni di psicoterapia adesso avevano modellato il mio cervello a tal punto da poter aspirare di essere qualcosa, ma questo qualcosa poi piombava ancora su di me grande come un macigno e quel senso di solitudine profondo, insito, quell’enorme vuoto che mi portavo dietro puntualmente compariva e ricompariva familiare e doloroso talmente intenso che ogni volta che lo provavo, d’un tratto dicevo: ecco casa. Ecco il mio dolore profondo. Ecco questa sensazione conosciuta dove mi posso cullare, dentro alla quale posso abbindolarmi e dondolarmi perdendomi in sostanze e persone non più sconosciute, alla ricerca di un’intimità profonda, nauseante, totalizzante e di per sé effimera. Ecco che, in mezzo al vuoto le parole scorrono come fiumi in piena, in un dolore artistico continuo ed eterno.
Mi dico: ecco, il segreto è il dolore.
Ed ogni volta del dolor io mi lamento, ed ogni volta è nuovo ed è soltanto lamentandomi che riesco a scrivere, a disegnare, a suonare, a dipingere, a cantare.
Gli attimi di gioia fugaci sussistono nel ricordo ed in nient’altro, o forse in sensazioni fallaci.
Prima ad esempio, gioivo dell’aver scritto qualcosa. E un attimo dopo è come se fosse arrivata una nube sul mio spettro a dirmi: ‘guarda che non è abbastanza’. Allora ecco che d’un tratto l’entusiasmo era già finito, pronto a lasciare il posto a…
quel che in fondo è la vita.

Una scatola di thè aspettava sul fondo di un cassetto. La prendo e – aspetta un attimo, altrimenti si brucia – mi scotto.  Si mescolano gli odori, mi portano lungo un inverno freddo senza premura. Il pavimento di linoleum e le briciole sotto i piedi. L’odore della musica e dei vinili. Continuo a sognarti, più volte in una stessa notte e non fai niente, semplicemente sei lì: talvolta mi fissi, talvolta agisci.  La tua caricatura stanotte comprava una donna e tra le sue gelide grida la portava nel bosco e rapiva. Ed io aspettavo, sentivo, ascoltavo.

Trovarsi così:
sfranti e stanchi dopo una notte amara.
Aspetto l’alba che arrivi e dica:
‘Un altro giorno comincia ieri’.

Mi sento sola
questa notte senza te
che ti mostri attento
quante volte potrei dirti grazie
per queste giornate fugaci
e ogni volta che parti è un abbandono
e quante volte vorrei sentirti accanto
incassato nel mio cuore, solido
eppure non ti ho mai

Ti vedo sulla mia home page
Sento la musica che ascolti
E mentre viaggio assaggio parti di te.
Posso toccarti nella tua stanza
Da quelle casse dure e grandi esce il suono
Lui era solo una fase, lei era solo una fase
Ripetono
E da dove sono ascolto e annuso cose che sanno ancora di te.
Mi allungo e un fiore appassito mi guarda triste
E tutto è triste quel che è parte di una fase.
Difficile non pensarti più e vederti ovunque
Non c’è niente che possa fare per volerti indietro
Vivere in eterno attraverso materia morta

A

Dagli occhi dolcissimi
guardi e scruti
apparentemente sin giudizio
io che di giudizio ho il cuore pieno
ti guardo e scruto
degli occhi pieni d’amore

Ardua è l’esistenza d’un personaggio sensibile: sen va errando tra la folla interessandosi qua e là della vita altrui, e sembra che nessuno intenda il suo linguaggio. In quest’epoca postmoderna chi si interessa indaga e ognuno si nasconde al prossimo, scaltro, e dunque non domanda.
E se allor dico “ancora penso alle tue parole”
tu rispondi “lasciale scorrere addosso
e scivolare via.”

Alle volte ho l’impressione
che tutto questo stare insieme
ci impedisca d’esser noi. (Soli)

Forse di questo si tratta
ciò che ho percepito ieri:
non parlavamo di persone
ma di stereotipi e di genere.

Noi, soli, possiam manifestarci
nella nostra interezza
nelle nostre sfumature
e diversità.

Che dunque uno stereotipo
possa esser manifestazione
di movimenti interni
celati sotto le mentite spoglie
di dinamiche di gruppo?
Può esser forse questa la risposta?

Poiché forse, in fondo
temiamo l’esser soli
e di teatri e solitudine
allor ci circondiamo.

quest’annolapasqua.frammenti

Quest’anno la Pasqua, il sole, la Primavera hanno creato in me una sorta di breccia illuminata che mi hanno portato a riflettere sul fatto che forse, avere fede non è poi così tanto male, e che licenziare Dio è stata una delle più terribili opere di autodistruzione fatte dall’uomo.
Il Licenziamento di Dio tuttavia è stato un passaggio necessario per l’evoluzione della coscienza, se si pensa che per secoli si è fatto della religione un utilizzo improprio e fanatico.
C’è da dire che nell’uomo è insito il Grande Peccato (il peccato originale), che al contrario delle comuni interpretazioni, a parer mio non si tratta tanto del desiderio di onniscenza – ricordate la famosa parabola dell’albero della vita ed il serpente tentatore – quanto del desiderio di Potere.
Il Potere è quella cosa che rilascia una vibrazione vitale e assetata, che genera dipendenza e assuefazione. Per me questo è la chiara e limpida descrizione di tutto ciò che viene comunemente chiamato ‘Satana’.

Essendo l’uomo tendente per natura a questo desiderio maligno, persino coloro che si facevano portavoce della religione nel medioevo sono arrivati ad utilizzarla in maniera impropria, e cioè a far sì che fosse uno strumento per generare il suddetto potere. “L’utilizzo di Dio in favore di Satana”

Dio e Satana, allo stesso modo di Yin e Yang, sono parti dello stesso intero.

La disillusione nei confronti della religione fanatica ha portato

Se si pensa però che ogni religione non è altro che una metafora dell’esistenza umana, allora si comprenderà che la Fede è qualcosa che viene coltivato all’interno dell’essere, qualcosa che porta ad esternare il reale rapporto con se stessi, quella cosa che quando tutto pare buio ed impossibile porta luce, speranza, colore, forza. La religione in fondo è l’antitesi della solitudine.

Quest’anno la Pasqua, il sole, la Primavera hanno creato in me una sorta di breccia illuminata che mi hanno portato a riflettere sul fatto che forse avere fede non è poi così tanto male, e che licenziare Dio è stata una delle più terribili opere di autodistruzione fatte dall’uomo.
Il Licenziamento di Dio tuttavia è stato un passaggio necessario per l’evoluzione della coscienza, se si pensa che per secoli si è fatto della religione un utilizzo improprio e fanatico.
Se si pensa però che ogni religione non è altro che una metafora dell’esistenza umana, allora si comprenderà che la Fede è qualcosa che viene coltivato all’interno dell’essere, qualcosa che porta ad esternare il reale rapporto con se stessi, quella cosa che quando tutto pare buio ed impossibile porta luce, speranza, colore, forza. La religione in fondo è l’antitesi della solitudine.

Ciao.

Mi è appena caduta una penna verde su una coperta bianca, ma non è successo niente, dunque è destino che scriva.
Stanotte mi sono messa a riflettere: ho pensato che non m’andava più di bere e fumare. Mi sento stupida infatti, quando succede che tra un bicchiere e l’altro non mi ricordo più chi sono né perché sono qui. Mi sembra di diventare come un pesce rosso da solo in mezzo all’oceano, e allora mi perdo.
Ho pensato che le persone bevono e fumano perché non hanno ancora trovato qualcosa che li faccia star bene davvero: come se, illudendosi in una socialità non selettiva, si abbia l’impressione di nascondersi agli altri, camuffandosi e modificandosi.
Chiunque si annoierebbe altrimenti, ripetendo giorno dopo giorno, notte dopo notte, sempre le stesse cose!
L’addormentarsi poi fa bene, ma solo per periodi brevi, altrimenti si smette di vivere.
E poi, quando siamo bevuti o fumati non ci si capisce più un cazzo di quello che succede intorno! Perdiamo la nostra individualità diventando parte di una grande massa informe e fittizia.
Stare da soli è difficile ma se non si sta bene da soli (leggi ‘se non riusciamo a bastare a noi stessi) allora non si può star bene con gli altri.
Tutta questa farsa della leggerezza poi! Oggi mi hanno detto che per aver più leggerezza devo imbellettarmi e andare per locali a sedurre gli uomini, giocarci, fargli credere che ci sto e poi andarmene. Questo è il male del mondo: la falsità.
Non ho mai avuto problemi nel manipolare gli uomini attraverso la seduzione, finché non ho deciso di smettere.
È come se tutti intorno a te dicessero che la merda ha un profumo buonissimo e tutti si convincessero che è così. Che mondo sarebbe?
Certo non molto diverso da quello in cui viviamo adesso.
Ci è stato detto che dobbiamo essere in un modo che non siamo per valere qualcosa ed essere apprezzati. Diventando amebe tutte uguali.
Ahi, la leggerezza! Perché le persone non capiscono che provare un po’ di tristezza e isolamento non è poi così sbagliato quando è anch’esso evoluzione? Dopotutto, “nel silenzio senti le voci più forti”.

Quanto male ci siam fatti
amore
per le nostre insicurezze sparse

L’impazienza
d’essersi scoperti
Soli

Un respiro
scorre e mi abbraccia

Non può esser dunque
mera immaginazione !

n:n

Docili camminiamo
come anime morte
allontanandoci dal corpo.
Placare il desiderio !
Dopamina immediata !
e poi ancora.

Dentro di noi il lume
è fioco
lo tappiamo costringendolo
in uno spazio sempre minore:

Un fuoco che arde
e che muore
spento da una camera
senz’aria.

Sono passate sei ore e, finalmente, posso stare da sola.
In questo attimo eterno posso ascoltare il silenzio, facendomi cullare da note sottili e soavi.
Di chi vorrei compagnia, adesso non so.
Forse ho dimenticato il modo in cui da soli si può parlare e motivarsi
In questo luogo dove conosco solamente distrazioni
e nessuna via aperta.
Alle volte mi sento totalmente persa
nella strada dell’esistenza:
tutto questo peso,
questo vuoto si riversa nel mio petto
incolmabile.

Anime

Qualcosa di inspiegabile si muove nell’universo, in modo ultraterreno attraversa le masse. Ti dirò adesso un segreto: ascolta e vedrai.

Z36

E chissene frega dei vizi e virtù! Tanto ogni cosa rimane com’è: mutevole. Solo questo è importante alla fine… esistere e resistere: per rimanere vegli e presenti senza dimenticare di volersi bene, e perseverare nel farlo, seppur pazientando.
Chi lo ha detto che un po’ di tempo da soli è tempo perduto? Anzi!
Vedi quanto tempo è dovuto passare perché una cosa semplice potesse sbrogliarsi?
Vedi, è una cosa semplice: il tempo è percezione e come tale esiste solo quando percepito. L’intervallo è anch’esso mutamento: muti elaborando ciò che ti è accaduto e, quando rinunci e avviene l’accettazione, accade.

Agosto

L’estate avanza
e ciò che scorre in me rimane sangue amaro
un cuore bloccato da nervature frementi
tremanti
di emozioni soppresse
ammalate
velenose e avvelenate
che diramandosi dal centro percorrono ogni vena
senza uscire dal flusso
e flusso su reflusso il mio sangue diventa sporco
il mio sorriso cala
i miei pensieri perdono in gioventù e leggerezza
e da sola mi accorgo di costruire la mia gabbia
la mia gabbia anaerobica
che muore lentamente
con me.

Uroboro

Finisce sempre così. Seduto sul cesso di una casa sporca torno a casa deluso dall’inadempienza del mio pensiero e fiuto, per arrivare dunque al dunque: “Già lo sapevo, che ti aspettavi?”.
Adesso legato scioglierò ogni nodo per esplodere e far cadere piano le corde sulle spalle.
Va bene così, ripetevo: va bene così.

sudo reboot: storia di un comando non corrisposto

 
Succede sempre più sovente: prima era una cosa rara, un evento sporadico. Invece adesso, d’un tratto ecco il buio.
Pongo domande a cui non viene data risposta, parlo comandi che non vengono riconosciuti, tutto diventa come un occhio la cui pupilla rimane statica al passaggio della luce. So che il momento sta arrivando, so che arriverà presto. Posso soltanto mettere le cose importanti in salvo. Ti perderò.
 
/error: sda3 /error: sda3 /error: sda3 /error: sda3 /error: sda3 /error: sda3 /error: sda3 /error

Mi sveglio: sono le nove del mattino, e la prima cosa che vorrei è piangere.

Sono le nove del mattino e quello che provo appena apro gli occhi è un caldo infernale.

Vorrei piangere, ma i miei occhi sono gonfi e ricoperti di trucco.
La seconda cosa che vorrei è cannarmi.

Potrei morire penso, e la prima cosa che faccio è andare in bagno a togliermi tutto quel sudicio rappecciato colore, terra, sporco che ho addosso.
A riempirmi di acqua che scorre e rinfresca, e penso al vento del mattino che scorre negli alberi pieni di vita di quelle colline scoscese, e penso al mare ed al vento gradevole che scorre tra la sabbia, e l’acqua.

Mi alzo ed anche i polmoni sono pieni di fumo e catrame tossico, tossisco e non mi sento meglio: l’alcool che ieri mi ha fatto stare bene, parlare, fumare sigarette oggi mi disgusta e mi uccide. Ma che c’è di bello qua, se non una socialità ebbra?

Chissà se qualcuno ieri
si è accorto che dietro il mio sorriso,
c’era un sentimento malato,
lo stesso che provo in questo mattino infernale.
tutt’ora, l’unica soluzione mi sembra fumare ed andare via.
Aspettare, e ripartire.

7 maggio

È più facile
voltarsi e non guardare
fuggire e darsi scuse
dall’alto giudicare
e non sentire.

È più facile ignorare
dimenticare
lasciare andare
tutto ciò per non far fronte
al grave peso della verità.

Queste parole sono per te
essere umano pensato come amico
e adesso uomo sconosciuto:
Ancora rimango attonita
pensando a ciò che fu
al significato che avesti
che adesso non c’è più.

A te che leggi ora,
rifletti su ‘sto monito:
“Credi.”

My life has changed in the last five years:
What I was, I am no more.
Where I was, I am no more.
With whom I was,
I am with no more.
Asking myself if the whys are still the same,
I cannot answer to that question either.
Now I wonder through empty spaces,
moving around
without feeling the soil
beneath my feet.
Everything. Is.
Totally white or black.
Shapeless in where
I cannot find nor distinguish
a shadow nor a form.
There’s only one thing I’m still able to do:
I repeat to myself:
Breathe.
Breathing this space I can loose
the perception of sight
and of touch
leaving away all that is connected with that
noisy material world.
I still repeat to myself:
that’s
the sound of your soul:
Breathe
it
all.